E’ noto che i pazienti diabetici hanno una ridotta sopravvivenza a lungo termine in seguito ad angioplastica coronarica transluminale percutanea rispetto ai pazienti non diabetici.
Comunque, non è noto se questo svantaggio in termini di sopravvivenza persista dopo l’introduzione delle moderne tecniche di intervento coronarico percutaneo ( PCI, Percutaneous Coronary Intervention ), che comprendono l’impiego di stent e la disponibilità degli inibitori della glicoproteina ( GP ) IIb/IIIa.
I Ricercatori del Beth Israel Medical Center di New York hanno analizzato i dati di 4.284 pazienti che sono stati sottoposti a PCI.
L’end point primario era rappresentato dalla mortalità per qualsiasi causa dopo dimissione ospedaliera .
Molto diffuse tra i pazienti con diabete erano l’ipertensione, l’insufficienza renale e l’insufficienza renale richiedente la dialisi.
L’insufficienza cardiaca congestizia,al ricovero, era più comune tra i pazienti diabetici che non tra quelli non-diabetici ( 7.7% vs. 4.0% ; p < 0.001 ).
Gli stent sono stato inseriti nel 78% dei pazienti non-diabetici e nel 75% dei pazienti con diabete ( p = 0.045 ).
Gli antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa sono stati somministrati nel 23% dei soggetti non-diabetici e nel 24% dei diabetici.
A 3 anni di follow-up medio, la mortalità è stata dell’8% tra i pazienti non-diabetici e del 13% tra i diabetici ( p < 0.001 ).
Dopo intervento percutaneo cardiaco i pazienti diabetici continuano ad avere una minore sopravvivenza rispetto ai pazienti non-diabetici. ( Xagena2004 )
Wilson S R, et al, Diabetes Care, 2004; 27: 1137-1142
Endo2004